"L'inconscio è strutturato in versi di cui ne viviamo l'effetto e il significato" Paolo Russo



ACCETTARSI E' CONOSCERSI
di Paolo Russo
L'accettazione dell'altro a mio avviso può derivare solo dalla conoscenza di sé. Riconoscersi paure, difetti ma anche pregi e desideri infatti crea quel confine tra noi e l'altro in cui la distanza rappresenta la vita. La vita fatta di emozioni che sono personali ma anche universali.
Il linguaggio della poesia rappresenta la voce della nostra stessa esistenza.
l'immagine idealizzata che abbiamo di noi stessi difficilmente coincide con noi ed allora
una tendenza ad essere come si desidera può portarci a credere che non
andiamo bene cosi come siamo, per usare le parole dell'inventore
dell'analisi transazionale Eric Berne, a credere di "non essere ok" ,
svalutando le proprie risorse solamente perchè si da valore solo a ciò
che non si ha. Lascio al lettore immaginare le conseguenze psicologiche e
sociali per una persona che vede la vita da una posizione in cui se
stessa è meno di qualcuno e non è come si vorrebbe. Oppure pensate a
quelle circostanze in cui lo scoprirsi socialmente accettati tende a far
svalutare gli altri. Basta riflettere sulle situazioni in cui gli altri vengono emarginati, disprezzati e svalutati. Qui Berne direbbe che
ci si considera "ok" ma si vede l'altro come "non ok". Riconoscersi
certe "posizioni esistenziali" può senza dubbio aiutarci nel rapporto
con noi stessi e con gli altri perché conoscersi è anche scoprirsi e
rinnovarsi. La conoscenza allora deve diventare un percorso di
esplorazione dettato da un innamoramento per noi stessi che non può non
essere sorpresa e amore per l'essere umano. L'empatia deriva dal
riconoscimento di quei luoghi emozionali che vive l'altro e in cui noi
abbiamo già vissuto. Accettarsi e accettare l'altro quindi non possono
prescindere, a mio avviso, dal conoscere se stessi.
Accettare la diversità
di Paolo Russo
Scrivere
un articolo sull'accettazione della diversità è tanto difficile quanto
provare a descrivere il perché si facciano le guerre o perché ci siano
paesi in cui mancano tutte le risorse essenziali per vivere ed altri in
cui le risorse sono in abbondanza. La poesia ha dato voce a tanti
"DIVERSI". Penso che ogni persona si sia trovata più volte nella
condizione di "DIVERSO". Emarginata, sola, accusata di essere se stessa.
Penso a quanto si sentano "DIVERSI" ogni anno milioni di disabili. Patrizia Bestini bene spiega come la creazione di
neologismi non è altro che la conseguenza della paura del
"diverso" insita nell'Uomo. Ciò che è diverso spaventa perché è
sconosciuto, perché non rientra in un certo schema mentale che nella
nostra società, per esempio, è rinforzato dai mass media e dalle
immagini patinate delle riviste. Tanta è la paura del diverso che nei neologismi questa diversità viene addirittura enfatizzata e
sottolineata! E così il dis-abile, persona priva di una qualche
abilità, diventa un divers-abile, una persona dalle abilità diverse... Si
parla sempre dei disabili come di una categoria omogenea, composta di
tante persone non ben identificate. Ma i disabili non sono affatto
omogenei, come non lo sono gli abili.
Merita una riflessione particolare la capacità delle persone che pur non senza paura decidono di affermare la loro identità sessuale riuscenso a esprimere se stessi, rompendo le catene della compiacenza verso una società che detta come diventare. A tal proposito conservo dentro me un ricordo molto emozionante di quando, durante gli studi universitari, un mio amico mi confessò di essere gay. Era felice, doveva capire come farsi accettare, i suoi occhi però brillavano come non mai. E' in quella luce che ho visto l'orgoglio della dignità umana. La sua voglia di esistere dettata dall'espressione della propria individualità e non dalla volontà di piacere e di adattarsi agli altri.
NASCERE VECCHI E MORIRE GIOVANI
di Paolo Russo
Questo
articolo è un tentativo di affrontare il tema della diversità
secondo un punto di vista pedagogico.
Il termine educare rimanda
alla filosofia platonico-socratica secondo cui la conoscenza deve essere
"condotta fuori" da noi tramite la maieutica, letteralmente l'arte del
far partorire, ovvero condurre fuori, e-ducere. L'educare quindi
equivale a rendere il soggetto più consapevole rendendolo più originale,
più creativo e più libero. Emily Dickinson sosteneva che "vi è sempre
una cosa di cui sentirsi grati: essere se stessi e non qualcun altro".
E. Guidolin scrive in "esistenza ed educazione" che "l'Adulto è colui
che è madre e padre di se stesso, è colui che è solo. A vent' anni si è
prigionieri delle delusioni giovanili. L'avanzare del tempo assume una
funzione catartica liberatoria sia dei condizionamenti sia delle
illusioni che li accompagnano", intendendo il senso intimo
dell'educazione in questo motto: "nascere vecchi e morire giovani".
E'
da queste premesse che vorrei riflettere con il lettore sul significato
dell'essere umani. Del prendersi cura delle nuove generazioni in quel
viaggio senza fine verso la conoscenza di sè.
È l'atteggiamento
verso la propria consapevolezza che rende capaci di vedere gli altri, è
in questa configurazione che le persone diventano individui e non
"diversi".
Quanto è doloroso accettare l'altro se questo significa
riconoscere se stessi? Riconoscerci un ruolo che non vorremmo avere e da
cui sfuggiamo nella debolezza di un senso sociale a cui con ipocrisia
ci adattiamo. L'omologazione infatti ci illude di essere "normali", ci
protegge da quel confronto inevitabile con l'indicibile e con i nostri
limiti rendendoci meno scomodi e meno autentici.