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RECENSIONE DEL CRITICO LETTERARIO SALVATORE FAVA
DEL LIBRO "FIUMI IN PORTO" PER IL PREMIO SELEZIONE POESIA - Luglio 2003
CACTUS RIVISTA UNIVERSITARIA DI PADOVA - Maggio 2000
GIORNALE DI SICILIA - Maggio 2000

"IL CONVIVIO" RIVISTA LETTERARIA - Luglio 2019

Il Trattato di Analisi del profondo di Paolo Russo
Di Valeria Sudano
Leggo il libro in due giorni, A tratti ho pianto, per la capacità che ha il libro di far rivisitare i propri ricordi ed i propri vissuti. Mi hanno profondamente colpito le riflessioni fatte da P.R. , le verità alle quali è pervenuto, grazie all' esperienza, alla sua formazione e professione, perche' andavano a collegarsi ampliando ed arricchicchendo i miei precedenti studi.
La malattia mentale:occasione di crescita personale per assumere prospettive più adeguate (questo dice P.R. come psicologo)
Io affrontavo la questione dal punto di vista del malessere sociale , il senso di vuoto , di inadeguatezza del vivere di oggi.
Da poeta individua nella poesia (anche nelle poesie dai pazienti da lui stesso in cura)la capacità di descrivere fenomeni psicologici (pag.6)La cura dunque come atto poetico nell'alimentare consapevolezza (poesia clinica).Una psicologia che si fa a partire da se stessi, la mente umana diventa accessibile solo a partire da un processo di autoconsapevolezza in cui la cura diventa una responsabilità verso se stessi e un'esperienza incredibile.
Qualcosa di noi che si manifesta e da cui noi possiamo imparare per l'appunto dalla poesia e dall'arte in generale.p.17
Dualismo nell'unità di noi , che ci porta a fare i conti con qualcuno che ci abita dentro, questo qualcuno ci renderà felice quando coincideremo con lui, ci renderà ansiosi se lo trascuriamo(grande verità che se siamo in ascolto di noi stessi scorgiamo).__________>Partendo da questa premessa il libro diventa un tentativo di esplorare quel mondo che ci abita dentro, attraverso un viaggio introspettivo "il viaggio attraverso i fiumi di Jane".
MATRICE è l'essenza prima di noi stessi, la matrice muta a seconda dei detriti apportati alla matrice dai fiumi che costituiscono la nostra vita pag.25 (Io parlavo dell'importanza di connettersi a noi stessi, al nostro vero io, all'importanza di trovare se stessi, la propria vera natura, e questo lo si può riuscire a fare solo se ci mettiamo in gioco , se iniziamo a fare esperienza, E' una sorta di lotta che proviamo quando la nostra vocazione, la nostra opera d'arte tende ad uscire fuori e a prendere forma.)
I pensieri cattivi , i tuoi mostri, quando ti sarai abbandonato a loro hai capito che i pensieri cattivi sono grida di parti di te che stavi soffocando e che adesso sono a tuia disposizione per il tuo viaggio alla scoperta delle cose della vita. Pg 60,74,81
La stima parte dal riconoscimento di se, costruire la propria autostima su una maschera è un autoinganno. Pag 101.
Rivivere angosce del passato è il primo passo per ricontattare la nostra vera identità .(la vita è la cura, come la malattia di papà ha sanato un rapporto una ferita).
Pag 120, 121 libro Etica.
Il disturbo psicologico la cui gravità si misura con la quantità di tempo non dedicato a noi stessi è un'opportunità di crescita. La nostra capacità di riaccettarci a partire dal conoscere la nostra componente più autentica,è ciò che determina una prognosi positiva all 'interno di un processo di cura.
Pag 122
Poetare è il contrario di sedare , è raccontare un sintomo in tutta la sua dignità affinchè esso possa manifestare il suo messaggio più autentico e nel suo tradursi in verità svelare la magia dell'esistenza umana.
Pag 125
Depressione è vivere senza matrice ,un concetto di rabbia, colpa, senso vuoto , inutilità; è essere qualcun altro e non noi stessi......qualcuno che ci considera importanti porta nella relazione la dignità del nostro valore umano.
Note su Ansia di Paolo Russo
di Cinzia Baldazzi
Sei la compagnia con cui parlo
d'improvviso, da solo. [...]
Ma il minimo rumore ti scaccia
e ti vedo uscire
dalla morte del libro
o dall'atlante del tetto,
dalla scacchiera del pavimento
o dalla pagina dello specchio,
e mi lasci
senza più polso né voce e senza più faccia [...]
[da Poesia, Xavier Villaurrutia]
Quanto mi piacerebbe, mentre sono colta dall'ansia, ignorare la natura, concepita oggi non complice protettiva, semmai mero strumento dell'uomo. Quasi non bastasse, l'oggetto di tale sfruttamento umano del mondo esterno si articola in un'aura dove la ragione non assegna scopi ad alcunché: quindi non conosce limiti, nemmeno quelli dell'ansietà.
Fatico più che mai, così, a sottrarmi da
pensieri che ardono,
grida che anticipano il fiato,
echi stonati lungo sentieri malati
che contagiano di morte le speranze
Sono versi di una poesia di Paolo Russo, che l'autore, psicologo Clinico e di Comunità, psicoterapeuta e psicanalista, ha posto in apertura del breve trattato Ansia. Conoscersi per guarire (edizioni PsyLibri), dove descrive il disturbo, analizza le motivazioni, espone una possibile terapia.
Da studiosa attenta alla dimensione linguistica, premetto alcune avvertenze. L'ansia si distingue dalla paura per il fatto di essere aspecifica, vaga, apparentemente priva di oggetto (mentre si ha sempre paura "di" qualcosa o "di" qualcuno). Ha parentele con l'angoscia in virtù di un comune stato psichico cosciente di apprensione e dell'assenza di una causa apparente. L'angoscia è però assai più intensa, fino a rappresentare una minaccia per l'individuo, un rischio di catastrofe. La diversità terminologica appartiene solo alle lingue di origine latina e all'inglese: infatti in tedesco i due termini sono indicati entrambi dall'elemento lessicale Angst.
Nell'ansia, lo spazio-tempo individuale è menomato, però, quando qualcuno decide di fare per se stesso. E ciò non sembra risolutivo, perché i mostri, osserva Russo,
hai cominciato anche senza volerlo a cucirteli addosso e solo quando ti sei abbandonato a loro hai capito che i pensieri cattivi erano grida di parti di te che stavi soffocando e che adesso sono a tua disposizione per il tuo viaggio alla scoperta delle cose della vita. [pag. 7]
Personalmente, sono di formazione cristiana, ma quando queste terribili ombre concrete proliferano, pure l'idea dell'anima, l'intensa luce emanata da Dio con la dottrina del Vangelo, le storie di vita con umili pescatori, i falegnami della Galilea, si affievoliscono divenendo ininfluenti.
Ottima pratica terapeutica, fitta di intervalli teorici pertinenti, il libro di Russo dirada un simile buio diffuso, sebbene, nella prospettiva ontologica da me favorita, il più cruento problema dei rapporti tra spirito, collettività e natura sia insito nel particolare che non possiamo ridurre a priori - per bisogno o sopravvivenza - l'una all'altra, né ipostatizzarne con sollievo la polarità. Esemplifica, appunto, Paolo Russo:
Quando scrivi, disegni, balli, suoni, componi o ci metti tutto te stesso per trasformare il tuo pianto in virtù, le tue cicatrici in saggezza, la tua presenza in un luogo sicuro per poter permettere agli altri di esprimere sorrisi sinceri. [pag. 9].
E se poi
l'ansia è una via d'ingresso verso quel mondo descritto dai poeti, verso quello che gli psicanalisti chiamano inconscio,
allora ripenso all'apparato riflessivo di Søren Kierkegaard, il primo a utilizzare il termine angoscia in una lunghezza d'onda filosofica, identificando al suo interno l'input preliminare dell'essenza umana, in grado di trapelare allorché sostiamo dinanzi a una preferenza da adottare; l'aura in possesso dell'uomo, libera e sconfinata di "stabilire", di decidere, lo lascerebbe in balia dell'Angst, consapevole delle responsabilità derivanti dal fatto che una scelta positiva, in via utopica, significa milioni di opzioni negative. Il microcosmo ansioso e angoscioso è definito come il sentimento della possibilità, dove tutto è egualmente possibile: dunque, consideriamo l'esistenza nel suo quid di poter-essere in cui l'evenienza di non approfittare di scegliere, rimanendo paralizzati nell'ansia, coincide con la "minaccia del nulla".
Ma l'ansia, una tipologia di malessere intimo, generale, assiduo, in cui non dobbiamo allontanarci dalla nostra "matrice", perché vedremmo il contesto in modo diverso, vivendo i "detriti" non in concomitanza con gli altri, tormenta la ψυχή (psiuké, psiche) nel fluire di un immaginario all'altezza di prospettare vicende a volte terrificanti, in un continuo status di allarme. Può essere persino, nel migliore dei casi, un sistema difensivo dell'Ego. Secondo alcuni studiosi, essa è un'eredità dei nostri antenati preistorici, ai quali si rivelava indispensabile per prevedere e prevenire i pericoli di un mondo decisamente ostile.
All'inizio potrebbe sussistere un vago sgomento nei confronti dei genitori e del dolore provocato da ostacoli materiali. Rintraccio nelle pagine di Russo un'atmosfera coinvolgente e persuasiva, con immagini dirette, se vogliamo crude, ma efficaci:
Chi soffre d'ansia può sperimentare la paura di rimanere da solo, un'angoscia che sembra somigliare a quella che esprimono i bambini quando la mamma li lascia in braccio a un estraneo o nella culla piangenti. L'angoscia abbandonica, una sorta di disperazione associata a una paura incontenibile. Un gradiente di vulnerabilità altissimo pur senza ossessioni ci rende bambini in fasce, esseri simbiotici che non bastano a loro stessi per la sopravvivenza.
Con il trascorrere del tempo, un timore analogo diverrebbe interiore, indirizzato in speciale riguardo all'anello principale della catena, ovvero l'impulso origine dell'inquietudine.
Franz Alexander spiega: «Questa paura non nasce a causa di un pericolo esterno, ma di pericolosi impulsi interni. L'ansietà è paura penetrata nell'intimo dell'individuo. Anche l'agente preposto alla punizione si intimizza; e la paura iniziale, risentita verso chi puniva i soddisfacimenti degli istinti, diventa un timore della coscienza [...]. L'ansietà non sorge da un atto manifesto, ma solo dall'impulso a commetterlo. È dunque chiaro che l'ansietà è preventiva: un segnale di allarme all'Io per avvertirlo che un impulso pericoloso, già causa nel passato di turbamento e di sofferenza, è in procinto di prendere il sopravvento».
Analogamente, precisa Russo:
L'ansia è una delle risposte che il nostro corpo o la nostra mente mettono in atto in determinate situazioni. Se l'ansia si presenta da adulti sta semplicemente dandoci il messaggio di riprenderci la nostra parte autentica messa da parte come strategia "magica" per non essere abbandonati o abusati.
Nello studio delle neurosi maschili, prosegue Alexander, medico-psicoanalista ungherese, l'allerta inconscia pare sia perlopiù motivata dal terrore della castrazione: l'onnipresenza di tale forma di catastrofe incombente, in bambini normali e in adulti neurotici, evidente nella sua diffusione nelle varie sfumature nel folklore, nella mitologia, nelle fiabe (Medusa, Sansone e Dalila, Salomè, Giuditta, la storia dell'Idra dalle sette teste, Edipo Re, Pinocchio), indussero Sigmund Freud a valutarlo primissimo fattore della repressione, della quale l'ansietà resta una delle forze motrici.
La trattazione di Paolo Russo è particolarmente attenta all'aspetto allargato e socializzato della terapia dell'ansia. Cosa avviene nell'approccio della Psicologia del Sé al setting di gruppo? Esso attribuisce una notevole importanza allo standard soggettivo del singolo paziente. Nelle analisi in ambito collettivo, però, l'oggetto supremo dell'osservare, dell'intervenire, concerne quanto accade tra i membri, cioè l'interazione e i relativi legami. L'idea di contatto intersoggettivo-fenomenologico nella terapia di gruppo è stata ribadita dallo psicologo-psicoanalista tedesco Siegmund Foulkes negli anni Quaranta, con il suo celebre paradosso che l'individuo sia un'astrazione: «Considero il paziente che mi sta di fronte come l'anello di una lunga catena, un punto nodale in una rete di interazione, la quale è la vera sede dei processi che portano tanto alla malattia che alla guarigione. Tutta la Psicologia diverrebbe così Psicologia sociale e troverebbe nel gruppo il suo naturale strumento terapeutico, confinando la Psicoterapia individuale a scopi del tutto particolari».
Una simile linea di pensiero introduce, a metà anni Sessanta, i concetti di matrice e di rete: quest'ultima è un intreccio di relazioni, di collegamenti consci ed inconsci stabiliti tra gli individui; l'altra si configura come l'agglomerato di contenuti relativi a pre-concezioni consce ed inconsce nutrite reciprocamente da ciascuno di essi rispetto agli altri membri della rete. Arthur Schopenhauer ne ha enfatizzato il ruolo: «Quasi la metà di tutte le nostre angosce e le nostre ansie derivano dalla nostra preoccupazione per l'opinione altrui». Ma dobbiamo al grande peruviano César Vallejo la drammatizzazione più dura e incisiva nei versi de Gli araldi neri: «Ci sono colpi nella vita, così forti... Che ne so! / Colpi come dall'odio di Dio; come se davanti a loro / la risacca di tutto il sofferto / s'appozzasse nell'anima... Che ne so! / Sono pochi, ma sono... Aprono solchi oscuri / sul volto più fiero e sulla schiena più forte. / Saranno forse puledri di barbari attila / o gli araldi neri inviati dalla morte. / Sono le profonde cadute dei Cristi dell'anima, / di qualche fede adorabile che il destino bestemmia. / Quei colpi sanguinosi sono crepitii / di un pane che sulla bocca del forno ci si brucia. / E l'uomo... Povero... povero! Gira gli occhi, come / quando sopra le spalle, una manata ci chiama; / gira gli occhi folli, e tutto il vissuto / si appozza, come stagno di colpa, nello sguardo».
Quale sarà la via d'uscita da intraprendere? Scrive Russo:
La guarigione dall'ansia spesso avviene per spostamento e convinzione. Esiste uno stato di vulnerabilità che va placato costruendo una struttura capace di reggere un vissuto altrimenti troppo invasivo. [pag. 35]
Centrale appare la volontà:
Paradossalmente diventa terapeutico acquisire la capacità di tollerare situazioni evitate per uscire dall'ansia. Le immagini cosiddette intrusive e fastidiose acquisiscono potere proprio grazie alla nostra intolleranza. Dare meno peso a certe situazioni è l'atteggiamento vincente per sminuire il peso dei pensieri. [...] Infatti davanti ad un flusso ansioso è proprio il fatto di non voler l'ansia che crea la patologia. La cura è andare incontro, non evitare, è apprendere strategie, non creare barriere. Il sintomo è resistenza manifesta, è bisogno di creare spazi nuovi. [pag. 45]
Acuta osservazione, anche sul piano ontologico: il volere in campo viene conquistato solo dopo aver eliminato tutte le forme di falsa volontà e di ingannevoli auspici capaci di allontanare l'uomo da quell'ente, come suggerisce Martin Heidegger, impegnato in interrogazioni senza sosta sul significato dell'essere.
L'uomo non deve, insomma, ridursi a puro oggetto di contemplazione, cioè a una semplice presenza nell'hic et nunc, in quanto il suo modo di essere coincide con l'esistenza, a sua volta in perfetta unione con il poter-essere, il progettare. Esistiamo nella trascendenza, l'individuo è progetto e le cose del mondo, la cosalità, assumono la fisionomia di utensile per il predisporre umano.
Ma ecco sopraggiungere la morte, l'infausto θάνατος (thànatos), in simbiosi con la facoltà "di non poter-più-esserci": nel senso che il respiro estremo è l'ultima possibilità dell'esistenza e - insieme - l'atto di annientamento dell'esistenza stessa. Viviamo, insomma, "per vivere la morte", senso autentico del nostro spirito e anticipazione progressiva della fine fatale: il pensiero heideggeriano si configura nel donare senso all'essere di vari enti tramite l'esperienza del loro possibile nulla.
Un simile, articolato meccanismo, tuttavia, non concorda con l'esito di un atto intellettivo, piuttosto con il sentimento specifico dell'angoscia. Quale il motivo? Il complesso ansioso/angoscioso - ricordo, nella lingua tedesca, la confluenza di entrambi i concetti nella parola Angst - colloca l'uomo al cospetto del niente, del nulla di contenuto, vale a dire al non-senso di ogni programma per cui, stabilisce il filosofo, «la situazione affettiva che può tener aperta la costante e radicale minaccia intorno a se stesso, minaccia nascente dal più proprio ed isolato essere dell'esserci, è l'angoscia».
Paolo Russo, dopo averla definita «morte viva», scrive:
L'ansia è una via d'ingresso verso quel mondo descritto dai poeti, verso quello che gli psicanalisti chiamano inconscio. È un luogo terribile dove le sofferenze diventano pugnali sul cuore, cadute da altezze elevate, pelle crepata, per usare il lessico poetico, eppure è un luogo che non conosce la morte, è una morte da vivi. L'ansia è una sensazione di dolore estremo, dolore di rappresentazione [...]. Siamo mente che non conosce la morte perché l'angoscia dell'ansia è un'angoscia che travalica la morte. [pag. 9].
Heidegger, temendo di non aver ottenuto sufficiente chiarezza, precisa: «Con il termine angoscia non intendiamo quell'ansietà assai frequente che in fondo fa parte di quel senso di paura che insorge fin troppo facilmente. L'angoscia è fondamentalmente diversa dalla paura. Noi abbiamo paura sempre di questo o di quell'ente determinato, che in questo o in quel determinato riguardo ci minaccia. La paura di... è sempre anche paura per qualcosa di determinato. Nell'angoscia, noi diciamo, uno è spaesato. Ma dinanzi a che cosa v'è lo spaesamento e cosa vuol dire quell'uno? Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell'insieme. Tutte le cose e noi stessi affondiamo in una sorta di indifferenza. Questo, tuttavia, non nel senso che le cose si dileguino, ma nel senso che nel loro allontanarsi come tale le cose si rivolgono a noi. Questo allontanarsi dell'ente nella sua totalità, che nell'angoscia ci assedia, ci opprime. Non rimane nessun sostegno. Nel dileguarsi dell'ente, rimane soltanto e ci soprassale questo nessuno. L'angoscia rivela il niente. Che l'angoscia sveli il niente, l'uomo stesso lo attesta non appena l'angoscia se n'è andata. Nella luminosità dello sguardo sorretto dal ricordo ancora fresco, dobbiamo dire: ciò di cui e per cui ci angosciavamo non era "propriamente" - niente. In effetti il niente stesso, in quanto tale, era presente».
Da parte sua Paolo Russo, dopo aver descritto la «crisi ansiosa» nei termini di «un vuoto da riempire», precisa:
Vulnerabilità e ossessioni sono dei meccanismi naturali che si innescano in base agli eventi che viviamo. Nell'ansia il meccanismo di innesco salta: è come se si restasse ingabbiati in un'emozione che innesca il meccanismo senza che vi sia uno stimolo specifico. L'impatto con questo funzionamento è disarmante proprio perché si provano emozioni sgradevoli senza nessun motivo. [pag. 39]
Infine, citiamo i versi dell'autore intorno alla conclusione del volume, con l'intento di coglierne il coraggio propedeutico a recuperare «il filo conduttore degli eventi traumatici», affinché la cura, nella prassi di «relazione e realizzazione» e nell'«entrare a contatto con le cose», possa interrompere il corso malevolo dei processi mentali:
La mente è un tuono
dal rimbombo spaventoso
con echi di immagini
che trafiggono nude pareti
di fragilità.
Dopo la tempesta
non resta nulla
di un campo di fiori
baciati dal sole,
quando si è appesi
ad ancore di paura...
Quando si è sospesi
tra la terra che crepa
e un gabbiano che vola...
[pag. 57]
Ringrazio Adriano Camerini per la collaborazione alla stesura del testo.